Il vino novello, un fenomeno di massa
quasi tutto italiano, rappresenta un settore in costante evoluzione negli ultimi anni.
Ogni anno si celebra il rito del
dèblocage, una sorta
di battesimo che dà inizio alla commercializzazione del prodotto
per la stagione in corso e all'invasione degli scaffali di enoteche
e ristoranti.
Pare che il vino novello abbia origini francesi, quando negli anni
'30 del XX secolo il ricercatore Flanzy sperimentò la conservazione
dei grappoli sotto CO2 ed ottenne involontariamente un mosto gradevole
e profumato. I primi a produrlo furono i vignaioli del Beaujolais,
la regione a sud della Borgogna, con l'appellativo di
Beaujolais
Noveau, ricavandolo esclusivamente da uva
Gamay.
In Italia la primogenitura del vino novello va ex-aequo ad Angelo
Gaja negli anni '70 con il «Vinot» ed al «S.Giocondo»
di Giacomo Tachis per i Marchesi Antinori, ma negli anni il fenomeno è arrivato a contare anche più di 400 produttori per un volume intorno a 18 milioni di bottiglie. Negli ultimi tempi il novello ha però scontato una grossa flessione scendendo oramai intorno all'1% della produzione enologica nazionale.
A differenza dei cugini francesi, nel nostro Paese si utilizzano un po' tutti i vitigni (sono circa 60 quelli previsti dai vari disciplinari) con prevalenza di
Merlot,
Cabernet Sauvignon e
Sangiovese, ma a fare la parte del leone è soprattutto il Nord, con 6 bottiglie su 10. La regione con il maggior numero di bottiglie prodotte è il Veneto (intorno ai 5 milioni).
Questo vino particolare è stato disciplinato per legge nel 1999, con successive modificazioni, e si produce con il processo di
macerazione carbonica, una tecnica che tende ad esaltare le caratteristiche di freschezza e di sentore fruttato, regalando un prodotto molto apprezzato e beverino.
I grappoli interi sono posti all'interno di apposite vasche da 50-70hl, nelle quali dopo aver prodotto il vuoto d'aria viene immessa co2, a 30° per 7-14gg. I grappoli che si trovano sul fondo delle vasche vengono schiacciati dalla massa d'uva e liberano il mosto. I lieviti indigeni migrano dalla buccia alla polpa alla ricerca di ossigeno ed acqua, innescando un processo di
fermentazione intracellulare. Al termine del ciclo si procede alla vinificazione in rosso, con una lieve pigiatura e un'ulteriore fermentazione di 3-4gg.
La menzione tradizionale "novello" è riservata solamente ai vini a DOP o IGP tranquilli e frizzanti, la gradazione minima è 11% vol, il limite massimo di zuccheri riduttori residui non deve superare i 10g/l, il termine ultimo per l'imbottigliamento è il 31 dicembre dello stesso anno della vendemmia, mentre la commercializzazione non può avvenire prima delle ore 0:01 del 30 ottobre, giorno del dèblocage (il Beaujolais Nouveau francese, invece, si potrà assaggiare solo a partire dal terzo giovedì di novembre).
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Per l'assenza quasi totale di tannino il vino prodotto in questa maniera non è particolarmente longevo, e induce gli addetti ai lavori a promuoverlo in modo massiccio, così da venderlo e consumarlo in tempi brevi (non più di 5-6 mesi dall'uscita).
Dal punto di vista del marketing si è trattato senza dubbio di una scelta vincente, perché il vino novello ha contribuito ad avvicinare i giovani con moderazione al vino e in seguito al vino di qualità. Il novello ha però anche i suoi detrattori, poiché rappresenta in qualche misura una realtà contraddittoria.
Il disciplinare di legge obbliga infatti il ricorso alla macerazione
carbonica per
almeno il 40% delle uve (mentre il Beaujolais richiede il
100%), ma ammette l'utilizzo della vinificazione tradizionale per
il resto dell'uvaggio.
Forse proprio per questa ragione, oppure solamente per un po' di snobismo, alcuni grandi produttori dichiarano che il novello non lo produrranno mai, perché altrimenti danneggerebbe l'immagine dei loro vini di punta.