Un esperimento per ricostruire gli antichi vini del Gargano.
I vitigni autoctoni, risorse locali da recuperare.
di Nello Biscotti
Oggi, si è intensificata la ricerca in favore dei cosiddetti vitigni locali (o autoctoni). Il vitigno locale come condizione per recuperare in termini di qualità, ma anche i vitigni sono ormai, materia per "archeobotanici", nel senso che gran parte sono scomparsi. Qualcosa resta sicuramente in quei frammenti di agricolture storiche che per fortuna ancora caratterizzano le realtà interne dell'agricoltura italiana. Il Gargano, oltre a mare e turismo (fatti recenti) è ancora oggi un importante tassello della storica Italia agricola, ove la vite ha avuto un ruolo affatto secondario, oggi quasi estinta. Promossa dell'Ente Parco Nazionale del Gargano, chi scrive ha portato a termine una ricerca finalizzata a "censire" quello che ormai rimaneva di quel ricco patrimonio di vitigni, locali, appunto, oggi veri "fossili" viventi, che rischiano l'estinzione. |
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L'Uva da macchia, il Nereto, il Puducin tener, la Barbaroscia, il Moscato garganico, lo Zagarese, la Bell'Italia, il Nardobello"; a questi però si aggiunge un'infinità di altri vitigni che danno spesso al vigneto l'aspetto di un bouquet". E' una testimonianza del 1914 (NARDINI G., docente a Portici) della caratterizzazione del vigneto garganico, un ricco e variegato patrimonio genetico di vitigni "locali", o ecotipi, frutto di secolari adattamenti con il clima, il terreno. Ogni paese aveva più o meno il suo vitigno: il Cassano bianco a San Giovanni Rotondo, il Pagghijone ed il Nereto a Monte S.Angelo, la Plausa nera ed il Sommariello rosso e nero a Vieste, la Plavca bianca a Peschici, il Nardobello, l'Uva della Macchia, il Moscatello a Vico, Gagghjioff e l'Uva a nocella ad Ischitella, Virr'cùn a Sannicandro.
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Il cercare tante volte si è rivelato infruttuoso, poiché non vi era più traccia di vigna o non c'era più il vignaiolo, perché era morto appena da qualche anno, o se c'era, era troppo anziano per avere "memoria". Alla fatica seguiva così quell'amarezza di essere arrivati troppo tardi nonostante la consapevolezza che quello che si riusciva a trovare non era che una minima parte di quello che una volta poteva esserci: i vitigni non lasciano fossili.
Ci resta la memoria storica di "vini spiritosi, euforici", di "rossi vermigli", di "spumanti, assai esquisiti", di "aromi intensi", di vini "con sapore di terra".
La vite ha avuto un ruolo fondamentale nella storia agricola del Gargano e più in generale della Puglia. Almeno per la Provincia di Foggia, è il centro di diffusione più antico. Durante il periodo ellenico (Magna Grecia) solo la fascia costiera da Vieste a Monopoli fu interessata alla vite tipicamente consociata all'olivo; nel periodo romanico la vite trova posto solo nel Gargano e a Canosa.
Sin dal 493 a Monte S. Angelo era costume una sagra in coincidenza della vendemmia. I Cavalieri prima di partire per la Terra Santa, brindavano con vino di Monte, ricordato come il vino di Carbonara.
Testimonianze di vite e vini non mancheranno anche per le epoche successive. Ancora a Monte S.Angelo "si raccogliono le cose per il vivere dei mortali, e fra l'altre buoni vini vermigli" (Leandro Alberti, 1561). Sul finire del 500, Andrea Bacci, pubblica a Roma, ove era professore di botanica, un'opera in sette volumi, De Naturali vinorum… (1596), nella quale si parla di vini garganici: "i vini poi vi sono dovunque non meno per copia che per bontà mirabili, rossi per lo più e di media forza, ma sinceri nella sostanza sicchè, senz'alcun condimento, durano fino al terzo anno e anche molto di più". Prospero Rendella, umanista e giurista, in Tractatus de vinea, vindemmia et vino, (1603) parla un secolo dopo, dei vini di Rodi, Vico e Vieste, e Monte. La vigna è in massima parte il prodotto della piccolissima proprietà contadina, che trova in questa coltura occasione di lavoro per tutta la famiglia; attorno alla vigna si piantano fruttiferi d'ogni sorta, attraverso cui garantirsi preziose riserve di zuccheri e grassi vegetali (noci, nocciole, mandorle). |
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La vigna stessa è concepita con il massimo della diversità di vitigni: il modello plurivarietale si affermerà in ogni vigna garganica, della Capitanata e più in generale della Puglia. Ma al di fuori del Gargano questo modello sarà presto abbandonato.
Sul finire dell'800, la Puglia diviene in breve tempo un grande centro d'interesse per la produzione di vini. Si cercano vini da taglio che potevano dare solo alcuni vitigni ed è facile immaginare le conseguenze. Si moltiplicano i vigneti monovarietali, il vino diverrà in breve tempo ricchezza per i proprietari "ma non guadagna l'enologia. Le uve più fini e più aromatiche vennero bandite" (Froio, 1883). Le prime vie commerciali si attivano con Napoli, poi dopo l'Unità d'Italia, mediatori del nord fanno carico di vini pugliesi; infine i francesi, dopo che la fillossera aveva distrutto gran parte delle loro vigne, diverranno i maggiori compratori. Sul finire dell'800 la Puglia è la principale esportatrice di vini d'Italia. Poi, la rottura dei rapporti commerciali con la Francia ed è crisi totale per il vino pugliese che perde il suo maggior acquirente: rimarranno estesi vigneti, quasi tutti monovarietali ed un "fiume" di vino senza alcun valore. Nel 1910, la prima comparsa anche in Puglia della fillossera farà il resto, riducendo ad appena 63 mila ettari i circa 320 mila ettari censiti prima dell'attacco di questa terribile malattia. Saranno distrutte anche le vigne garganiche (qualche anziano ancora lo ricorda), ma fortuna vuole che nella ricostruzione dei vigneti si riaffermerà ancora il modello plurivarietale, recuperando il più possibile l'antico patrimonio varietale che altrove andrà perduto con la riconversione al modello monovarietale. Di questa lunga storia sono testimoni i vitigni censiti dal progetto di ricerca di cui si faceva cenno all'inizio: 60 vitigni diversi, in gran parte neri e da vino, da quello adattato a vegetare a 600 m s.l.m., a quello capace di dare ottime uve sulla stessa spiaggia, i vitigni cosiddetti degli "sciali" (che sta appunto per spiaggia).
Da diversi anni, chi scrive, produce un vino con alcuni di questi vitigni; sono uno studioso, ma sono nato e cresciuto in una vigna. Nell'uvaggio prevale (50 %) il vitigno Uva della Macchia, (di qui il nome MACCHIATELLO) ovviamente con l'uso di tecnologie artigianali, che nel febbraio del 2003, ebbe l'onore di essere degustato dal grande Luigi Veronelli. La soddisfazione fu tanta che il Macchiatello si meritò di essere inserito come "attenzione" immediatamente nella rinomata Guida (I vini di Veronelli) con un apprezzamento scritto dallo stesso Veronelli (ora è sulla GUIDA 2006). Le particolarità? Tanti aromi e profumi, aspetti così rari sui quali è disperatamente impegnata la ricerca enologica. Gli "esperti" dicono: "particolare", certo concludo io, rispetto ai tanti e tanti nei quali si sente solo e solo "legno". Nel frattempo stiamo sperimentando il recupero di altri vitigni tra i quali lo ZAGARESE (un vino omonimo prodotto da Biscotti Agnello).
Niente di nuovo dunque, chissà quanti altri vitigni locali meritano queste attenzioni? Che fare allora? Anche quella dei vitigni locali, autoctoni rischia di diventare una moda !. Un rischio che non dovremmo correre poichè quando parliamo di vitigni locali, parliamo di risorse locali, una questione tutta italiana, che perde quotidianamente le sue risorse. Parliamo di risorse attraverso le quali si possono ricostruire piccole economie locali: in un modello di economia integrata (agricoltura, turismo, ecc.) attraverso la quale può costruirsi l'economia di un comprensorio, anche la viticoltura, ovviamente di qualità (storia, cultura, sapori non omologati) può occupare un posto rilevante. Se poi il comprensorio è un Parco Nazionale, come nel caso del Gargano, allora recuperare risorse delle storiche pratiche agricole diventa una strategia di vera politica ambientale. Su questa filosofia, il Parco del Gargano, nella sua figura del suo Presidente, avv. Giandiego Gatta, sta operando come momento culturale, scientifico (coinvolta la Facoltà di Agraria di Foggia) ma con sicure prospettive economiche.
Il Macchiatello è prodotto con il 50% da Uva della Macchia; il restante è così ripartito:
a. 30% Malvasia nera antica e Uva nera tosta (vitigni neri)
b. 20% Bell'Italia, Nardobello, Scannapecora (bianchi), Barbaroscia (rosso)
Scheda dell'Uva della Macchia
1. Ampelografia
Medio nel germogliamento, apice vegetativo e foglioline giallo-verdi e senza tomentosità. Foglia allungata, grande (in media 15x25 circa), trilobata con il solo seno laterale superiore e molto profondo; il seno peziolare è del tipo chiusi con bordi sovrapposti; lobi poco marcati, particolarmente il terminale, acuti, con denti grossolani, acuti; superficie pagina superiore liscia-bullosa, verde intenso, lucente, glabra e verde-prato la pagina inferiore; nervature rilevate, senza peli, colorate alla base; 50° circa l'angolo tra le nervature dei lobi; picciolo medio-grande (8-10cm); in autunno foglie giallo-rossiccie. Grappolo lungo, conico-piramidale, alato, serrato, con peduncolo corto, grosso e legnoso; pedicello verde, medio-corto (0,5-0,8cm) e pennello colorato. Acino grande (1,5 cm) sferico di colore blu-violaceo intenso, vellutato; buccia molto pruinosa, sottile, tenera; polpa dal sapore aromatico (lampone, fragola), dolcissima, appena astringente, di consistenza tendenzialmente carnosa. 1-2 vinaccioli, molto ingrossati alla base. Tralci lignificati molto grossi, con internodi lunghi (10-15 cm), a sezione circolare e con nodi sporgenti; gemme grandi. |
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2. Stato di diffusione
Si conserva ancora nelle poche vecchie vigne di Vico; qua e là presente anche in vecchie vigne di Vieste e in una sola vigna a Ischitella. Rinvenuto anche in un resto di vigna (10 viti) in agro di Peschici, abbandonata da tempo, in loc. Baia Zaiana (piccola vigna nella fascia retrodunale della baia) su arenili.
Da quanto si racconta sembra che il vitigno abbia avuto origine in agro di Vieste, trovato spontaneo nella boscaglia mediterranea (seconda metà dell'Ottocento), in loc. Macchia (di qui il nome); di qui si afferma nelle vigne di Vieste e poi in agro di Vico del Gargano (qui infatti è conosciuto come Uva di Vieste) ove diverrà il vitigno più diffuso.
3. Qualità enologiche ed agronomiche
E' ricordato di ottima qualità per la carica zuccherina, i profumi e soprattutto per l'alta resa in mosto. Nella vinificazione di diverse vigne di Vico costituiva oltre il 70 % dell'uvaggio e si otteneva un vino di un color rosso rubino, alcolico (13 gradi), perfettamente strutturato e particolarmente profumato, persistente nei sapori. Nostre prime analisi delle uve hanno dato, alla data del 23 settembre 2002, i seguenti risultati: zuccheri 190.5 g/l; ph 3.40; acidità totale 8.77 g/l; flavonoidi totali 2520 mg/l; antociani totali 1024 mh/l.
Il vitigno è molto produttivo, caratteristica che conserva anche in terreni poveri. Sembra infatti prediligere terreni poco profondi, siccitosi, calcarei e con scheletro (pietre calcaree).
Produco ogni anno non più di 1000 bottiglie: la vigna è piccola (e tale deve rimanere), mi dispiace che è vecchia.
Foto e testi di Nello Biscotti
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